Uppitella!
<Uppitella!>
Lo dico ogni volta che prendo in braccio una delle mie figlie.
Quando le faccio saltare, le metto a sedere, o quando le sdraio sul lettino.
E’ una parola mia e loro.
Con un significato tutto nostro.
Ma ogni giorno ci muoviamo fra tante parole, tutte nostre.
Parole che a loro, le mie figlie, escono così…
Tra i “luvidi” ( i lividi sulle ginocchia), i “pep corn” al cinema,
i <io “vieno”>, <io “leggio”>, <io “salo”>, <io “puliscio”>.
Mia figlia, la più grande, di cinque anni, usa “finalmente” invece di “meno male”:
<finalmente che non si è rotto!>,e ogni tanto le fa male il “callo”, il tallone del piede.
La più piccola, di due anni e mezzo, mi dice contenta <l’ho aprito!>,
o mi chiede <mi addolci i piedini?> (mi accarezzi i piedini?).
E poi chiama Dumbo “Alefante”, un po’ ali e un po’ elefante.
Parole nostre, che io mi astengo dal correggere,
perché so che scompariranno da sole, nel tempo
e questo vorrà dire che le mie figlie sono cresciute ancora un po’.
Ci siamo già lasciate dietro i “basini”, i <che ne disi?>, i “massazzini” e i <ti proteggio io mamma!>.
Mi piace il loro linguaggio che cresce, prende forma.
Ancora può essere libero, almeno per un poco, prendere il significato che gli piace.
E allora divertititevi, piccole mie,
uppitella!
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Architetto, mamma di due bambine, con una grande passione per i libri.
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