Disconnettersi dai figli
Quanto è difficile disconnettersi dai figli.
Farlo per poter lavorare, dedicare tempo a noi.
Noi mamme siamo così, programmate per pensare a loro.
Con la loro nascita il nostro tempo cambia,
è scandito solo dai loro bisogni, dalla ricerca di attenzioni,
dai loro mutamenti e dagli imprevisti.
Non c’è scaletta da seguire, non esistono più eventi programmati.
Tutto segue un ritmo naturale, eppure così difficile da tenere,
quando è necessario conciliarlo con altro, soprattutto con il lavoro.
La più grande delle mie figlie è stata fortunata, lei ed io,
ci siamo accudite a vicenda, prendendoci tutto il tempo di cui avevamo bisogno.
Con la più piccola è stato diverso.
Quando ho ripreso a lavorare, con la mia seconda figlia che aveva pochi mesi,
non riuscivo a staccare il pensiero da lei.
Ed era la natura, prima di tutto che me lo ricordava.
Il latte che mi scendeva improvvisamente dal seno, proprio all’ora della sua poppata,
o quando lei mi cercava.
Ho dovuto faticare per staccarmi,
per ricavare il tempo per lavorare, per necessità, come tante.
L’ho fatto con sacrificio e sensi di colpa. E so che ho perso tanto.
Ci sono stati i momenti in cui non riconoscevo più le sue abitudini
e lei non riconosceva più le mie.
Era difficile addormentarla, farla mangiare.
Perché i bambini sono abitudinari, hanno i loro riti.
Il loro nido è fatto di gesti e di odori,
quelli che li hanno accolti quando sono nati e che vorrebbero conservare a lungo,
fino a quando non sentono l’esigenza di fare da soli.
E anche allora vogliono sentirsi ancora accompagnati, da lontano,
ascoltare le nostre gratificazioni, il riconoscimento di ogni progresso
e di un evento nuovo.
Le vedo le differenze ora,
l’intimità che a volte fatico a creare con la mia piccolina,
quella conoscenza che non ha bisogno di parole, nasce da dentro,
da qualcosa che si è creato senza fretta, creando intrecci di ricordi e di emozioni.
Qualche volta mi sfugge ora,
è difficile tenerla abbracciata, lasciare che la sua testa riposi su di me,
tenerle la mano.
Forse perché mi ha cercato tanto, senza trovarmi, quando mi voleva.
E adesso, un po’ me la fa pagare…
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Ci sono due modi per abbracciare l'impossibile: scrivere e disegnare. Io ci provo, ogni giorno.
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Che belle parole, leggendole mi sono commossa perchè anche io ho dovuto tornare a lavorare col tempo pieno che la mia bimba aveva appena 3 mesi… è stata durissima e secondo me, sotto certi aspetti ne risentiamo ancora adesso che è passato un anno e mezzo.
Sai Nat, scrivere mi aiuta a scaricarmi un po’ dal peso, a focalizzare ciò che è meglio fare, adesso, per recuperare con la mia piccola. Anche confrontandomi con altre mamme, come te, che si riconoscono nelle mie parole.
Mia figlia è un pò più grande della tua “Polpettina di soia”, come la chiami tu (ho letto il tuo blog http://volevodiventareunagiornalista.blogspot.it/).
Devo dirti che mi ispiri una grande vicinanza e simpatia.
Un abbraccio.